Ho di recente terminato la trascrizione del mio diario di viaggio scritto durante il mio viaggio in Patagonia nel Giugno del 2018. Ve lo propongo in versione integrale qui sotto :)
0789
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0789, PIN errato.
Per la prima volta nella mia vita mi trovo a km dalla civiltà. L'unico mezzo che in qualche modo mi lega a casa, il telefono cellulare, è inutilizzabile.
Dico ad Andrea che era destino, forse, il messaggio che nella quotidianità avrei aspettato sul telefono, ora me lo sta mandando la Patagonia, mettendomi alla prova e facendomi vivere l'esperienza più pura possibile.
E' la prima notte. Siamo in Patagonia, nel cuore della Patagonia. La natura sta entrando in noi, che lo si voglia o meno.
Ci infiliamo nel sacco a pelo e ci addormentiamo.
Poco dopo, sentiamo qualcosa toccare la nostra tenda: i topi sono venuti a farci visita e come api attorno all'alveare cominciano a graffiarla e a morderla.
Ingenuamente ho lasciato una mela nel portaoggetti sopra le nostre teste e probabilmente attratti da essa si sono fatti spazio tra i teli fino ad arrivare letteralmente sopra di noi.
I nostri zaini hanno avuto lo stesso trattamento, usciamo e li appendiamo ad un ramo assieme alle provviste.
Andrea urla "Perché a noi?!". Amiamo la Natura, non meritiamo questo.
Riflettendoci però, siamo noi nel loro territorio, non loro nel nostro.
Benvenuti!

Il buio piano piano svanisce, lasciando spazio ad un'eterea luce di colore rosso tenue che va a baciare il Cerro Chaltèn alle nostre spalle.
Il contrasto con il cielo azzurro-blu intenso è incredibile.
Cammino lungo il sentiero e ogni volta che volgo il mio sguardo alla cima, un brivido attraversa il mio corpo.
Ci troviamo sul greto di un torrente quando un banco di nebbia comincia ad accarezzarci lentamente, fino ad avvolgerci. Percepiamo un abbassamento della temperatura e dal cielo comincia a scendere qualche fiocco di neve.
La catena montuosa che prima si poteva quasi toccare è nascosta tra le nubi.
Tornando all’accampamento rifletto sul privilegio che abbiamo di poter vivere tutto ciò. Fin da bambino infatti ho sempre aspettato la neve come fosse la cosa più bella che la natura potesse regalarci.
Durante le prime ore del pomeriggio, quella che sembrava una debole nevicata, acquista vigore e la foresta di faggi di fronte al nostro accampamento si intravede a malapena. Davanti a me appare un mondo cupo, tetro. Poco accogliente. Ho paura.
A far da guardiano a questo mondo vi è un albero bianco, snello e dai rami che come delle braccia sembrano chiamarmi, dandomi il benvenuto.
Con qualche timore mi dirigo verso di lui. Continua a nevicare e man mano che mi avvicino la paura svanisce: la neve, in parte, rende l’atmosfera più dolce e rassicurante.
Mi faccio strada tra decine di tronchi e rami che giacciono a terra a causa del forte vento che li ha distrutti.
Dopo un lungo peregrinare, torniamo alla tenda.
Fin da bambino, camminando nella Natura con mio nonno, avevo l'abitudine di costruire delle "case" o capanne con ciò che riuscivo a procurarmi nel luogo in cui mi trovavo.
Rami, fogliame, coltellino svizzero e il nonno erano tutto ciò di cui avevo bisogno, tutto ciò che mi bastava per svagarmi in quei pomeriggi che ricordo con estrema gioia ed orgoglio.
Mi ingegnavo tagliando tutti i rami che mi occorrevano, cercando poi di unirli assieme con ramoscelli più sottili con l'intento di costruirmi un riparo nel bosco.

Ero un bambino e fantasticavo su come sarebbe stato vivere li.
Qui, a vent'anni di distanza, mi ritrovo a dover costruire un riparo dove cucinare o semplicemente riposare.
Non mi sembra vero: questa costruzione sarà davvero parte della nostra casa per qualche tempo. Il mio entusiasmo viene alimentato da quello di Andrea e in un paio d'ore il riparo è ultimato; Siamo felici come due bambini.
Il vento che c'aveva fatto compagnia durante la notte precedente, ritorna.
Con lui, torna anche la neve.
Usciamo dalla foresta e iniziamo a peregrinare nella steppa.
Il vento rende difficoltosa la vista scagliandomi in faccia la neve, decido così di coprirmi gli occhi con la maschera da sci.
Vento, freddo, nubi basse: ho nuovamente
paura.
Gli alberi attorno a me sono in balia degli elementi, ma rimangono impassibili, come fossero abituati a tutto ciò.
Guardandoli attentamente infatti si nota come molti di essi abbiano assunto col tempo una forma striata, da una parte o dall'altra, a causa del vento che li ha forgiati nel corso degli anni.
Questa volta, la paura e l'inquietudine, mi accompagneranno per tutta la giornata.
La laguna sucia è una laguna adiacente alla laguna de Los tres, più bassa di quota ma più complicata da raggiungere in quanto vi è soltanto una traccia anziché un vero e proprio sentiero.Per percorrerla infatti è necessario registrarsi presso l’ufficio dei Rangers all’ingresso del parco.Ci rilasciano un tagliando da inserire nella buchetta delle lettere al di fuori della loro stazione una volta fatto ritorno. Nel caso tale tagliando non fosse riconsegnato entro due giorni dal giorno di rientro, i Rangers verrebbero a cercarci.
In una giornata di alta pressione, decidiamo di dedicarci all’esplorazione di questa laguna.A detta dei Rangers, ad un certo punto la traccia si sarebbe interrotta a causa di un macigno.Da una parte il fiume, dall’altra il bosco e quest’enorme masso.Come da istruzioni cerchiamo di aggirare l’ostacolo verso monte, ma della pista da seguire, nemmeno l’ombra.Proseguiamo andando ad istinto, fino al momento in cui un brivido mi coglie: notiamo delle impronte che testimoniano il passaggio di un puma. I Rangers ci avevano avvisato della sua presenza classificandola come rara: ne hanno visto un uno in ben 37 anni!

Ma la neve è rivelatrice, come una voce che ci sussurra all’orecchio in quell’ambiente ovattato.Non siamo soli.“Su le antenne!” Dice Andrea mentre proseguiamo il nostro cammino.Ho paura.Riusciamo a superare l’ostacolo e saltando da un sasso all’altro ci avviciniamo sempre di più al ventre della vallata.La laguna ancora non si vede, ma davanti ai nostri occhi il Cerro Chaltèn si mostra sempre più imponente.E’ tardo pomeriggio quando non siamo ancora arrivati a destinazione. In questi momenti è facile farsi prendere dall’entusiasmo e voler arrivare fino all'obiettivo. L’orologio però ci suggerisce di tornare all’accampamento e con uno sguardo, senza dover fiatare, prendiamo la decisone più saggia.Mi prendo gli ultimi due minuti per riflettere, poterlo fare in questo luogo è infatti un privilegio: noi davanti a queste pareti verticali e cime accuminate, affilate come coltelli.E’ un ambiente che incute timore.Mi lascio trasportare dall’immaginazione e mi chiedo quale sia il motivo che spinge alpinisti e scalatori a salire quelle cime.“Non hanno paura?” Mi domando.A spingerli è forse ciò che ha spinto me ad essere qui: un incontenibile senso dell’avventura e dell’esplorazione, un’irrefrenabile voglia di mettersi in gioco e di metterci nella condizione di guardarci dentro.Ho paura solamente trovandomi qui, alle pendici della catena, salirla richiede sicuramente non solo una massiccia forza fisica, ma anche mentale.Scattiamo qualche fotografia istantanea e riflettiamo sulla sensazione di purezza e primordialità che stiamo provando.Roccia, ghiaccio, neve, acqua e mistero sono gli elementi che caratterizzano questo luogo.
Per tornare alla tenda decidiamo di seguire il “sentiero” che ci permette di evitare la roccia che ostruisce il percorso principale e che da qui risulta più visibile, ma non perquisito meno scomodo. Il terreno è ricoperto da uno strato di ghiaccio, perfino le racchette da trekking sono un intralcio. Le lanciamo verso valle e continuano la discesa lungo quello che sembra un tunnel naturale formato da ghiaccio nella parte sottostante e da un arco di faggi innevati nella parte superiore.Avanziamo con cautela, aggrappandoci ai rami e strisciando sotto gli stessi. Lentamente ci avviciniamo alla base della roccia. Amo questi momenti, amo ricoprirmi di neve, fango, amo sporcarmi e sentirmi tutt’uno con ciò che mi circonda.
In fondo, la comodità, la tecnologia ed una società sempre più indifferente alla Natura, ci stanno facendo dimenticare di far parte di essa.Preferisco considerarmi parte della Natura piuttosto che parte di una società basata su abitudini, standardizzazione con conseguente “perdita di libertà” dell’individuo che si limita a diventare simile di un suo simile, in tutto e per tutto.Qui non ci sono orari, non c’è chi dice chi devo essere e come devo esserlo: ci siamo solo noi, noi e basta.Noi e un libro vuoto su cui scrivere chi siamo realmente, su cui scrivere la nostra Vita.In Natura, come nella quotidianità, è importante avere la lucidità di usare la testa per uscire dalle situazioni più scomode. Situazioni che fanno crescere, maturare e acquistare consapevolezza dei nostri limiti ma anche delle qualità che possiamo usare a nostro favore.

Quotidianamente siamo abituati a dare per scontate o a dare poca importanza a determinate cose.Banalmente, non ho mai amato il caldo, le giornate completamente limpide.In questi momenti mi rendo conto però, che se privati di tutto, anche ciò che nella vita quotidiana non piace, qui diventa essenziale.La condensa formatasi all’interno della tenda ha fatto inumidire i sacchi a pelo, che essendo in piuma, hanno perso parte del loro potere calorico. Cogliamo cosi la palla al balzo ed appendiamo i nostri “letti” ad un albero, in modo di asciugarli mediante il calore del sole.Ci rilassiamo sdraiandoci sulle radici di un albero, apprezzando fino all’ultimo il tepore dei raggi solari.Passano un paio d’ore e decidiamo di controllare i sacchi a pelo. Si sono asciugati! Sono felicissimo, la notte che verrà la passeremo al caldo! Le nevicate dei giorni precedenti e della notte appena trascorsa hanno steso un manto bianco sugli alberi e sul terreno circostante all’accampamento.
Sono ancora in tenda quando Andrea esce. Dall’interno riesco a sentire il rumore della neve che si schiaccia sotto i suoi passi. Esco anch’io.
E’ ancora buio quando ci vestiamo e ci dirigiamo verso il Rio del Salto.
Il buio della notte via via sta scemando e lentamente le prime luci dell’alba rivelano quello che sembra un paesaggio incantato, dolce, accogliente.
Mi sento accolto, coccolato, così come lo è il Cerro Chaltèn avvolto dalle nuvole.
Il mio essere in questo momento corrisponde all’essere della montagna.
Mi sento talmente sicuro e protetto che non do peso alle impronte del puma che regolarmente troviamo a terra, mi sento parte di tutto l’ambiente che mi circonda.
In contesti e situazioni come questa siamo obbligati a pesare con molta attenzione ogni singola mossa o banalmente ogni programma giornaliero.
Normalmente , per esempio, ritrovarsi con i guanti o la giacca bagnata, non rappresenterebbe un grosso problema; qui è diverso.
Ritrovarsi con gli indumenti bagnati significherebbe faticare ad asciugarli.
Le severe regole del parco infatti ci obbligano a non accendere il fuoco, necessario in questo caso ad asciugare il nostro vestiario.
Ci siamo ripromessi di tornare ad esplorare la zona della laguna Sucia, la stessa che non siamo riusciti a raggiungere qualche giorno fa.
Con lucidità decidiamo di partire in una giornata soleggiata, in modo da essere facilitati nell’individuazione della traccia segnata nei giorni precedenti e di vari ostacoli come ad esempio le lastre di ghiaccio nascoste nello strato superficiale del terreno.
Dopo circa 15 minuti di cammino, di nuovo, vediamo le impronte del puma.
E’ evidente siano fresche. Una serie va verso monte, mentre un’altra va verso valle.
Come successo durante la scorsa esplorazione in quest’area, Andrea mi ripete “Su le antenne!”.
Proseguiamo lentamente, voltandoci più e più volte per verificare che l’animale non ci colga alle spalle.
Arriviamo al masso che ostruisce il sentiero, quella roccia che abbiamo dovuto aggirare la volta precedente.
Seguiamo con lo sguardo le impronte del felino e notiamo che si “arrampicano” lungo un tratto quasi verticale della parete!
Noi dovremmo costeggiarla, salire lungo il tunnel naturale di piante ed arrivare in cima, laddove il puma sembra essersi diretto.

L’atmosfera è strana.
Ci prendiamo 5 minuti di tempo per decidere con lucidità se proseguire o se tornare indietro.
Proseguire per fotografare il Cerro Chaltén da una prospettiva incredibile rischiando di essere colti di sorpresa dal puma oppure rinunciare e tornare all’accampamento?
Ci guardiamo e osserviamo di nuovo le impronte lungo la parete.
A volte la voglia di esplorare ci spinge ad osare troppo, ma essere accompagnati dalla presenza del felino lungo buona parte della vallata è la vera emozione di questa giornata: l’emozione più grande mai provata.
Rifletto sul significato del rispetto per la natura, capendo che in questo momento coincide con il rispetto degli spazi dell’animale: è il suo territorio, noi siamo solo ospiti.
Le impronte, il sentiero a tratti difficoltoso da percorre e vedere, sono stati dei segnali che la natura ci ha mandato per giungere alla decisione di rinunciare. Essa ci ha parlato, lo ha fatto a modo suo e solo chi la ama e la rispetta può avere la capacità di capirla.
Questi momenti sono indimenticabili, mi sento in completa sintonia con ciò che mi circonda: non sono superiore al puma e il puma non è superiore a me. Ci rispettiamo reciprocamente, e se c’è il rispetto, la pacifica convivenza è automatica! Perché non rispettarci?
E’ matematico, col cielo sereno la temperatura si abbassa. I piacevoli zero gradi dei giorni scorsi, si trasformano in meno dieci!
Abbiamo gli scarponi umidi, decidiamo così di infilarli in dei sacchi e tenerli in tenda durante la notte per evitarne il congelamento.
Poco dopo, il nostro sonno viene accompagnato dal frastuono provocato dalla rottura dei ghiacciai e dallo zampettare dei topi sulle pareti della tenda.
Fatico ad addormentarmi, ma dopo aver dormito qualche ora, mi risveglio accorgendomi che fa più freddo del solito. Tocco con i piedi il sacco contenente gli scarponi e mi accorgo che è completamente ghiacciato!
Il giorno seguente ci aspettano 6 ore di cammino per 20km.

Riflettiamo.
Facciamo rientro in paese o affrontiamo il trekking con gli scarponi congelati?
Le scorte di cibo stanno finendo, decidiamo cosi di far rientro in paese utilizzando le ultime riserve di gas per scongelare gli scarponi in modo che siano quantomeno utilizzabili durante il trekking di rientro.
Facciamo colazione, poi, a malincuore cominciamo a smontare l’accampamento.
E’ una decisione presa con la testa più che con il cuore.
Mentre riponiamo tutta l’attrezzatura negli zaini, il pensiero va ai momenti in cui stavamo costruendo quella che sarebbe stata la nostra casa per una settimana. Una settimana intensa, ricca di emozioni che sono andate dalla felicità, alla paura.
Lasciamo la Patagonia con la consapevolezza che quella passata è stata un’avventura incredibile.
La natura ci obbliga ad essere noi stessi, e se non riuscissimo ad essere noi stessi, na nostra non sarebbe vita.

Alvise:
I enjoyed your story so much!... You are such a great writer. From your descriptions, I can really imagine the landscapes, climate conditions and emotions you experienced.
All of what you went through: the heavy snow, strong winds, the Puma, the wet sleeping bags and scarponi, the building of the house (like when you were a kid with your grandfather), i topi bitting the tent. Everything you risked, for the thrill of the adventure and to get to know yourself better. I think in difficult experiences like this it is shown who is a good manager and who takes the best decisions. And you guys did.
I am impressed how you managed the Fear: your story sounds really scary and exciting at the same time.
But what I like the most were these 2 phrases: “Siamo felici come due bambini” and “amo sporcarmi”. We should never forget to enjoy like children, to always see things with new eyes. Getting dirty to live the experience to the fullest.
Please share more of your diary.
Adriana
Grazie mille per aver letto tutto in maniera così attenta :)
Mi fa piacere tu abbia colto proprio ciò che a me interessava trasmettere.
Concordo con ciò che hai scritto, non dovremmo mai sopprimere il bambino che c'è in noi solamente perchè passata una certa età viene etichettato come "infantile" qualsiasi atteggiamento fuori dagli schemi. Tutti, ma roprio tutti vorrebbero restare bambini. E a vivere male sono proprio quelli che vorrebbero restare tali ma si adeguano per essere approvati dal resto delle persone :)
La cosa più bella resta comunque il fatto che vivendo queste esperienze così particolari capisci che i problemi non sono quelle sciocchezze che viviamo quotidianamente! Era peggio avere il puma alle spalle che starsene due settimane chiusi in casa per un virus :)
In quei momenti di paura, il desiderio più grande che avevo era poter tornare a casa per poter raccontare ciò che avevo vissuto :)
Alvise
Grazie per avere condiviso il tuo diario Alvise. Una parte del puzzle, una fetta di vita importante. L'intensità di un'esperienza ti può fare cambiare il modo di vedere determinate cose. Ti ho trovato diverso dopo quest'avventura, è incredibile come pochi giorni siano sufficienti per far maturare una nuova consapevolezza in noi. È stato davvero un piacere condividere con te quei momenti, sperando di poter presto tornare a vivere esperienze speciali nella natura selvaggia. Antenne dritte 😉 Andre
Che ansia con ste antenne dritte😂 Prossima volta muto eh hahaha😎