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Non c'è niente come la prima volta!

Si parla spesso di "progetti fotografici", di perseveranza, di ritornare decine di volte nello stesso luogo per poterlo finalmente ritrarre nella maniera sognata...dopo avere in un certo senso studiato e previsto il verificarsi di un evento. E se tutto quello che desideriamo non dipendesse da un evento esterno, bensì dalla nostra capacità di lasciarci stupire? È un discorso ampio, che andrebbe trattato in ore di dibattito. È molto stimolante parlare di ispirazione e di suggestioni fotografiche, in queste righe proverò a sintetizzare il mio pensiero. Progetto fotografico, se ci pensate, suona davvero male. Sembrerebbe un qualcosa di studiato a tavolino, un qualcosa che con il tempo è destinato ad materializzarsi. Sembra persino di parlare di una sorta di puzzle, che con costanza, perseveranza e pazienza, andremo a completare. Dal mio punto di vista, pur rispettando e stimando molti sostenitori dei "progetti fotografici", credo che non si possa parlare di "completamento" di un progetto. Che cosa significa? Le emozioni sono effimere, la natura è troppo sfaccettata, noi siamo in costante evoluzione. E allora la cosa più importante è diventare dei grandi osservatori, uscire senza aspettative. Imparare ad ascoltare, ad ascoltarsi.

Joshua Tree National Park, California
Joshua Tree National Park, California

Il tempo aiuta ma non è mai sufficiente per saziare la nostra bramosia fotografica. Potremmo passare 10 anni nella stessa area senza mai riuscire a scattare la foto che abbiamo in mente. O proprio quella che "ci manca"! Potremmo persino frustrarci. Giammai! Nel tempo, le immagini cronologicamente più vecchie ci potranno sembrare imperfette, meno mature e potrebbero perdere ingiustamente di valore (se affiancate a quelle più recenti)... Potremmo invece trovarci in un luogo e senza aspettative realizzare la foto (o la sequenza di foto) da sogno, che mai avremmo immaginato di realizzare. Ecco, il mio approccio fotografico si avvicina di più a questo secondo caso. C'è bisogno di ispirazione, più che di tempo. In passato molte persone mi chiedevano come mai, nonostante vivessi in un paradiso naturalistico a pochi chilometri dal Parco Nazionale dello Stelvio, prediligessi spingermi ai confini del mondo in cerca di terre remote da ritrarre... La risposta era sempre la seguente: tralasciando la curiosità, che mi porta a conoscere le diversissime sfaccettature che in nostro pianeta custodisce, ritengo che avere stimoli sempre nuovi aiuti in primis ad imparare (tantissimo!) e in seconda analisi a sviluppare un fiuto eccezionale, che ci permette di percepire l'esperienza (quella nuovissima, autentica, adrenalinica) con grande attenzione e con la curiosità bambinesca dell'esploratore! C'è un libro molto bello, realizzato dai coniugi norvegesi Erlend e Orsolya Haarberg. Si intitola "Iceland in all its splendour". Di questo libro mi aveva colpito la primissima frase della narratrice e autrice islandese, Unnur Jökulsdóttir: "In Icelandic we have a saying: "The guest's eye sees clearly". Ossia: "l'occhio del forestiero, potremmo tradurlo così, vede più chiaramente/più in profondità".

E perché? Semplicemente perché il forestiero non si è mai trovato dinnanzi a quella specifica bellezza naturalistica...è tutto nuovo e straordinario per lui. E da lì deriva l'ispirazione, la gioia di creare! Provate a pensarci: c’è qualcosa di profondamente emozionante nella prima volta in cui mettiamo piede in un luogo mai visto prima (e può essere anche una vicina valle alpina, non per forza una landa remota!). È innegabile. Il nostro battito cardiaco si fa più veloce, sentiamo come una vibrazione che attraversa la pelle. Tendiamo a farci più introspettivi, a volerci godere l'attimo catturandolo con tutti i nostri sensi. E la fotografia, se arriva, arriva dopo. Per me è proprio così: in quel momento così puro lascio che le emozioni mi catturino e infine (forse) la mia fotografia prenderà forma. Non si tratta di avere già studiato il luogo o pianificato l'uscita, non c’è un obiettivo in mente, non ci sono ricette da seguire. Non sono avvezzo ai software fotografici che ci consentono di prevedere che cosa succederà: orari precisi, direzione della luce e così via. Non sono nemmeno amante delle previsioni meteo (anche se a volte si rivelano chiaramente essenziali, soprattutto durante i viaggi fotografici di gruppo - però qui parliamo qui di un contesto diverso).

Molti descrivono fotografia naturalistica e paesaggistica come un ritorno continuo nello stesso luogo, una sorta di corteggiamento in attesa che si verifichi un qualcosa di "perfetto". È una visione affascinante e rispettabile, come sottolineato poc'anzi, ma non è esattamente la mia. Per me, la magia sta tutta nella scoperta. È quando dietro a una roccia mi si rivela la vetta inarrivabile, oppure quando sdraiandomi in una foresta mi rendo conto che, solo così, sto cominciando a conoscerla per davvero. In quei momenti la connessione è veramente intensa. Faccio parte della natura e la natura comunica con me.

Se ci penso, sfogliando il mio archivio, molte delle mie immagini preferite derivano da una primissima esplorazione di un luogo e i ricordi associati a quell'immagine sono ancora vividi. In quei momenti speciali sono veramente me stesso, come persona e come fotografo. È in quei momenti che sento! Si può imparare a interpretare e prevedere la luce anche senza software, e farlo sul campo ha tutt'altro valore. Come sostenevo in una intervista televisiva di pochi anni fa: "Mi piace pensare che, a volte, quando siamo là fuori alla ricerca di un'esperienza speciale, lo scatto perfetto sia proprio la Natura a dettarlo. Non è una ricerca nostra ma è un qualcosa che ci succede". (Trovate l'intervista completa QUI)

Lasciare spazio all’imprevisto è la cosa più bella che esista. Il piacere di esplorare luoghi nuovi, così differenti fra di loro, è un privilegio. È crescita, emozione, cultura. Ti permette di dare più valore a tutto, di imparare a fotografare il mare camminando fra le "onde" del deserto, di imparare a fotografare l'intrico della foresta perdendosi in un labirinto di pietra.

Gli ambienti naturali sono estremamente connessi fra di loro e se abbiamo voglia e tempo di andare oltre, allora ci accorgeremo che il progetto fotografico che abbiamo in mente è illusione, perché se pensiamo a un traguardo ben definito in fotografia, probabilmente siamo sulla strada sbagliata e ci stiamo perdendo quello che veramente conta: la nostra libertà d'espressione, senza vincoli.

Paradossalmente trovo tutto questo confortante, ha a che fare con la nostra evoluzione come persone.

Vi lascio con quest'immagine realizzata durante la mia prima visita nel deserto del Gobi (Inner Mongolia cinese). Entro l'estate comparirà sul sito un'intera galleria dedicata alla straordinaria esperienza nel deserto.

Non si tratterà di un progetto fotografico (le immagini che vedrete sono state realizzate in soli 5 giorni), bensì di una collezione di visioni ed emozioni che spero vi possano parlare di me in questo specifico momento di vita!

Deserto del Gobi, Inner Mongolia cinese
Deserto del Gobi, Inner Mongolia cinese

Grazie per l'attenzione e a presto! Un abbraccio,

Andre

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